La proposta di introdurre il “semaforo” nelle indicazioni sui prodotti

L’etichetta che non piace e penalizza la qualità

Sei multinazionali del cibo hanno chiesto all'Unione Europea di dire sì a un sistema di etichettatura che, dall'olio al Parmigiano, colpirebbe molti dei più pregiati prodotti tricolori. Per l’Italia un’altra battaglia importante da combattere.

La dieta mediterranea, così come molti dei prodotti che meglio rappresentano le produzioni di cibo made in Italy, proprio mentre venivano celebrati grazie alla classifica di Bloomberg sulle nazioni più in salute (di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti), si sono però trovati nuovi importanti nemici.

Sia chiaro, nessuno dice o dirà che è contro la dieta mediterranea e le produzioni italiane, ma c’è una sorta di cavallo di Troia, di cui si propone l’utilizzo, che potrebbe creare tanti problemi. Questo cavallo di Troia è la proposta di introdurre per gli alimenti la cosiddetta “etichetta a semaforo”.

 

Questa etichetta già adottata in Inghilterra e che ora qualcuno vorrebbe estendere a tutta l’Unione Europea, prevede che, a seconda del grado di “problematicità” di un alimento, l’etichetta sia rossa (alimento da ridurre al minimo se non da evitare), arancione (alimento che si può consumare senza eccedere), o verde (alimento da consumare senza problemi). A decidere il colore dell’etichetta è la presenza di grassi saturi, zuccheri e sale per 100 grammi di prodotto. Un sistema spicciolo che non fa distinzione tra prodotti di alta e di bassa qualità. Detta fuor di metafora a rischiare di trovarsi l’etichetta rossa, al pari di un qualunque “cibo spazzatura” industriale, sono anche gioielli di italianità come il Parmigiano Reggiano, l’olio d’oliva e il prosciutto di Parma.

 

Se il governo e l’intero mondo dell’industria alimentare italiana (e anche Coop) sono subito scesi in campo contro questa ipotesi, con grande sorpresa di molti a schierarsi congiuntamente a favore dell’etichetta a semaforo sono state sei multinazionali come Nestlè, Mars, Unilever, Mondelez, Coca Cola e Pepsi Cola. Cioè le regine nella produzione di cibi e bevande mediamente non proprio vicine a una dieta equilibrata e salutare. Come mai? C’è chi ha ipotizzato che questo schieramento imponente, abbia chiesto alla commissione europea di far passare questa nuova etichetta ritenendola il male minore; cioè per evitare che vengano introdotte misure come una maggior tassazione sui prodotti con troppi zuccheri (le cosiddette soda tax o sugar tax di cui anche in Italia si è recentemente accennato a una possibile introduzione) e comunque ritenuti causa di quell’aumento di obesità che giustamente le autorità europee vogliono contrastare, dato che da ciò derivano enormi costi sanitari visto l’insorgere di patologie che l’obesità si porta dietro.

 

Il dibattito sarà sicuramente serrato e resta da vedere quale orientamento prevarrà. Il punto è sì di dare informazioni al consumatore, ma di farlo in maniera corretta ed equilibrata. La Francia adotterà un sistema simile a quello inglese ma con una formulazione più articolata e attenta. Se i singoli paesi saranno comunque liberi di decidere è quasi scontato che l’Italia opterà per il no. Il rischio sarà per i nostri prodotti destinati all’estero che rischiano di trovarsi penalizzati laddove la nuova etichetta sarà adottata. Un problema che andrebbe ad aggiungersi alla guerra dei dazi commerciali scatenata dal presidente Usa Trump, che pure andrà a colpire molte delle  produzioni alimentari italiane più prestigiose.

 

«Questa etichetta a semaforo – spiega Andrea Ghiselli, dirigente del Crea, il Centro pubblico di ricerca per gli alimenti e la nutrizione – è sbagliata per più motivi. In primo luogo si tratta di una metodologia che toglie al consumatore la responsabilità delle sue scelte e che appiattisce tutti i prodotti, limitandosi a misurare solo le quantità di zuccheri e grassi. Il consumatore deve invece imparare a mangiare correttamente e aumentare la sua consapevolezza. Perché solo il consumatore sa cosa ha mangiato e mangerà in quella giornata: e i problemi non sono nel singolo prodotto o ingrediente, ma nella somma di ciò che mangiamo».

 

In più Ghiselli fa un esempio molto illuminante: «Prendiamo le bevande zuccherate. Il limite attuale è di 6,2 grammi per 100 millilitri. Oltre scatta il semaforo rosso. Ebbene, nella produzione industriale io posso programmare e ottenere una bevanda che si ferma a 6,2. Così il consumatore consumerà abbastanza tranquillamente una bevanda che contiene 6,2 grammi di zucchero, ma starà ben attento a consumarne una che ne contenga 6,3. E lo stesso con i grassi: staremo attenti ad un formaggio che contenga 20 grammi di grassi %, ma mangeremo con più tranquillità un formaggio che ne contenga 19,5%. Poiché i colori sono stabiliti non per porzione, ma per grammi, il nostro olio è decisamente rosso. Sarà verde per lo zucchero, verde per il sale, ma due bei bollini rossi, uno per i grassi e uno per i saturi non glieli leva nessuno. Ma nessuno consuma 100 grammi d’olio, una porzione d’olio è 10 grammi e dovremmo consumarne 30 in tutta la giornata. Così poi magari uno usa per condire qualche preparato artificiale in bustina (dressing), costruito sapientemente sotto i limiti del semaforo e penserà di far bene alla propria salute… Sarebbe davvero una beffa. Ma così è ben difficile che il consumatore ci guadagni sul piano della salute».

 

Val la pena ricordare come Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria abbia attaccato duramente sul tema, definendo «paradossale che sei multinazionali che non rappresentano l’industria europea né tantomeno quella italiana, tentino di imporre in Europa un sistema talmente grossolano da penalizzare le produzioni leader nella qualità mondiale come quelle italiane».

Dal canto suo il ministro Maurizio Martina ha chiesto a Bruxelles di «impedire la diffusione di un elemento cosi distorsivo del mercato, che provocherebbe danni economici e d’immagine ai nostri prodotti, senza portare alcun beneficio per i consumatori e senza promuovere uno stile alimentare equilibrato, ma classificando invece i cibi con parametri discutibili e approssimativi».

 

Coop: “Anche noi diciamo no” 

Informazione e trasparenza per far scegliere il consumatore

«Coop è decisamente contraria all’introduzione dell’etichetta a semaforo come quella adottata in Inghilterra – spiega il direttore qualità di Coop Italia, Renata Pascarelli -. Si tratta di una scelta che non va nella giusta direzione perché nessun cibo deve essere demonizzato con un sistema che rischia di creare distorsioni e penalizzazioni non giustificate. L’obiettivo di contrastare l’aumento dell’obesità e delle patologie che da questa derivano è condivisibile, ma va perseguito informando e rendendo più consapevole il consumatore. Coop è impegnata da anni a promuovere una dieta equilibrata, varia e che preveda un apporto dei diversi nutrienti in quantità corrette, con prodotti adeguatamente formulati. La strada deve essere quella della piena trasparenza e della corretta informazione, iniziando dall’attività nelle scuole in cui Coop è da moltissimi anni protagonista».