CIBO E SALUTE

Frutta & verdura: il buon piatto piange

Si parla tanto di cibo e salute, ma i consumi di ortofrutta in Italia, dal 2000 ad oggi, sono calati del 15%. Per l'Oms dovremmo mangiarne 500 grammi al giorno, e invece arriviamo appena oltre i 300. La sfida per recuperare questo distacco passa dalla consapevolezza di noi consumatori e dalla qualità.

Anche se è vero che di cibo, di cibo buono e sano si parla tantissimo in quest’epoca e che l’attenzione per un’alimentazione naturale ed equilibrata cresce, ciò non toglie che cose da sistemare nel nostro rapporto con l’alimentazione e con una dieta che sia corretta e, appunto, salutare, ce ne sono ancora tante (basta per tutti pensare ai problemi legati all’obesità). E, in una fase in cui tantissimi consumatori stanno scoprendo specifiche linee di prodotti (ricchi di fibre, senza grassi, privi di glutine, ecc.) è forse utile riparlare anche di concetti e di prodotti che dovrebbero essere la base su cui costruire la nostra alimentazione. Per questo vogliamo occuparci del consumo di frutta e verdura, un consumo che è alla base della corretta alimentazione secondo le indicazioni della “celebre” dieta mediterranea e della piramide alimentare definita dall’Istituto italiano di nutrizione, secondo la quale di frutta e verdura occorrerebbe mangiarne 5 porzioni al giorno. Il punto è che, anche se con un positivo segno di recupero nel 2015 (+3% sull’anno precedente), il consumo di frutta e verdura in Italia è in calo. Basti dire che nel 2000 si consumavano 9,5 milioni di tonnellate, contro gli 8,15 milioni del 2015. Una riduzione del 15%, iniziata ben prima della crisi economica scatenatasi nel 2007-2008.

 

MENO ORTOFRUTTA NEL PIATTO, MENO SALUTE

Ormai da una decina d’anni i consumi viaggiano, infatti, intorno agli 8 milioni di tonnellate, col picco minimo del 2013 (7,8 milioni). Dunque nel 2015 il consumo medio di frutta e verdura di una famiglia è stato di 331 chilogrammi (contro i 379 del 2006). Difficile indagare le cause di questo calo, che sicuramente sono molteplici, ma pare probabile che, più che motivi legati ai prezzi, pesino aspetti educativi, di conoscenza e di attrattività verso prodotti che comunque rappresentano le eccellenze della nostra tradizione alimentare (dai pomodori agli agrumi, dalle mele alle zucchine, dai peperoni all’uva e via elencando).

Secondo l’Oms (l'Organizzazione mondiale della sanità) di frutta e verdura occorrerebbe mangiarne 500 grammi al giorno. Anche se l’Italia, nella media europea, è tra i paesi messi meglio (è seconda dietro la Grecia), come spiega il professor Roberto Della Casa, docente di marketing e gestione dei prodotti agroalimentari all’Università di Bologna, in Italia il consumo di questi prodotti si attesta sui 303 grammi al giorno (erano 361 nel 2000). “Uno dei problemi – spiega Della Casa –, quando si scopre che mangiamo poca frutta e verdura, è che il 70% degli italiani pensa che questo dato non sia riferito a loro, perché sono convinti di mangiarne già abbastanza, ma non è così. È vero che non è semplice stabilire quanti grammi d’insalata ci sono nella ciotola. Il punto è che c’è uno scarto tra il percepito e la realtà”.

Forse frutta e verdura sono percepite come care? “C’è uno scarto tra percezione e realtà anche su questo fronte – continua Della Casa – ad esempio tra 2013 e 2014 c’è stato un abbassamento medio dei prezzi di questo settore, eppure un 64% degli italiani pensa sia avvenuto il contrario. No, i prezzi di frutta e verdura non sono cari e soprattutto va fatto un raffronto più ampio in base a quel che si chiama rapporto di sostituzione energetico: se mangio 100 grammi di ortofrutta ho mediamente un apporto energetico di 40 calorie, mentre se mangio 100 grammi di derivati dai cereali, dolciumi o altro, di calorie ne ho 400”.

E considerando anche i problemi di obesità nella nostra società, è possibile fare una stima dei maggiori costi che derivano al sistema sanitario nazionale da una alimentazione errata: “con la società Agroter – spiega Della Casa – abbiamo fatto delle stime e solo per le patologie cardiovascolari abbiamo ipotizzato che, se non ci fosse stato il calo di consumi di ortofrutta dal 2000 a oggi (da 361 grammi al giorno a 303), avremmo risparmiato 3,4 miliardi di euro. Guardando avanti, se per i prossimi 8 anni avessimo il consumo ottimale di 500 grammi al giorno il risparmio sarebbe di 8,9 miliardi di euro. Oltre ovviamente al prevenire migliaia di decessi per queste patologie”.

 

MENO SPRECHI E PIÙ INSALATE PRONTE

Sempre guardando ai consumi di ortofrutta in questi anni, dentro al trend di calo e alle difficoltà, sono da evidenziare comunque anche altre modifiche che sono intervenute negli stili di consumo delle famiglie. “Da un lato c’è meno spreco – spiega Claudio Mazzini, direttore di questo settore in Coop Italia –. Con la crisi si è diffusa una maggior consapevolezza,c’è più attenzione alla sobrietà, si compra solociò che serve. Il risultato, ovviamente molto positivo,è che si spreca meno. L’altro grande cambiamento,pur nel contesto di calo complessivo che rimane, èlegato alla crescita sia dei prodotti biologici che anchedi prodotti che hanno un contenuto di serviziopiù alto, penso alle insalate già lavate e imbustate, averdure già lavorate e pronte per l’uso. Sono prodottiche costano di più, ma che le famiglie cercano perchédanno una risposta alle esigenze di gestione familiaredei tempi, oppure, come per il biologico, rispondonoa una ricerca di qualità e salubrità”.

Dunque una quota di consumatori è pronta a spendere di più per determinati tipi di prodotti. Ed è anche importante notare come nell’arco degli ultimi anni il peso della distribuzione moderna e quindi delle catene come Coop abbia un peso sempre maggiore rispetto ai volumi di venduto. Se nell’anno 2000 la quota di distribuzione moderna sul totale della frutta e verdura vendute in Italia valeva il 36%, nel 2015 è arrivata al 63%. Dunque il peso dei negozi tradizionali e dei mercati è in calo. Anche le meritorie e interessanti iniziative di vendita diretta, la ricerca “del km zero”, coprono piccoli segmenti di mercato e non sono in grado di incidere più di tanto sulle tendenze di fondo e di aumentare le vendite (che è poi l’obiettivo fondamentale per tutti).

 

PRODOTTI PIÙ ATTRATTIVI

“Non da oggi, come Coop, siamo impegnati in una riflessione per migliorare l’attrattività di questi prodotti – spiega ancora Mazzini – Se uno apre il Web è sommerso da blog e commenti che spiegano come consumare ortofrutta tutti i giorni faccia bene alla salute. Ma c’è ancora tanto da fare per tradurre questa informazione in consumi. Da un lato occorre che i produttori riescano a porre sempre maggior attenzione alla qualità e non solo alle quantità. Poi c’è da continuare a fare un lavoro educativo e informativo. Quanto ai nostri punti vendita cerchiamo di curare molto l’esposizione. Al Supermercato del futuro realizzato dentro ad Expo abbiamo lavorato, con grande apprezzamento da parte dei visitatori, sul tenere insieme prodotti di uno stesso colore, anche perché il colore è legato a specifiche proprietà e sostanze presenti nella frutta e nella verdura. E ruotando i colori si ottiene una alimentazione più sana e completa”.

Dunque occorre far sì che ognuno di noi si convinca che frutta e verdura fanno bene e che sono un consumo moderno e appetibile. Cosa per niente impossibile. Basta pensare a un segmento molto piccolo, come quello della frutta secca che però ha avuto un boom incredibile proprio perché entrata nella dieta di tanti come fattore di prevenzione che aiuta la nostra salute. Oppure pensiamo a quanti sportivi usano la frutta secca durante i loro allenamenti per garantirsi un apporto energetico adeguato. Ma cose simili stanno avvenendo, specie negli Usa, per i broccoli e il cavolo nero che, per le loro proprietà benefiche, stanno vivendo un autentico boom di consumi. Eppure al di là delle mode più o meno esasperate, basta andare ai fondamentali ad esempio usando il sistema dei colori, per fare un ripasso delle proprietà positive che frutta e verdura contengono.

 

LA REGOLA DEI CINQUE COLORI

Se ad esempio partiamo dal rosso (cioè pomodori, fragole, anguria, peperoni, ciliegie, bietole, ecc.) significa che abbiamo alto contenuto di due fotocomposti con azione antiossidante: il licopene e le antocianine e che abbiamo un’alta presenza di vitamina C. Se invece ci spostiamo sul giallo-arancio (carote, arance, limoni, meloni, pesche, ecc.) avremo anche qui tanta vitamina C, flavonoidi e carotenoidi; andando sul verde (asparagi, insalate varie, spinaci, zucchine, kiwi) avremo magnesio, vitamina C, acidofolico e clorofilla, se andiamo sul blu/viola (melanzane, radicchio, fichi, frutti di bosco, prugne, uva nera, ecc.) avremo antocianine, carotenoidi, potassio, magnesio e vitamina C; se ci spostiamo sul bianco (cavolfiore, cipolla, finocchio, aglio, sedano, mele, porri, ecc.) avremo polifenoli e flavonoidi.

Non ci mettiamo qui ad approfondire (sul sito del Ministero della salute e navigando in rete si trovano ampi materiali su questo schema), ma è chiaro che, seguendo la stagionalità di questi prodotti, alternando i colori e con le infinte possibilità di combinazione nei diversi menu, mangiare frutta e verdura oltre che far bene, è tutt’altro che rinunciare al gusto e alla qualità.

 

COOP, PRODOTTI ITALIANI PER L’85%

Le ricorrenti polemiche che capita di vedere su giornali e Tv circa la tutela delle produzioni italiane o la minaccia di presunte invasioni di prodotti stranieri richiedono di dare un qualche chiarimento, almeno per quanto riguarda il rigoroso approccio di Coop su questo tema.

Nei negozi e supermercati Coop di tutta Italia l’85% del totale della frutta e verdura vendute vengono dall’Italia. Il 15% che viene dall’estero è in gran parte rappresentato dalle produzioni come banane (ne consumiamo 454 mila tonnellate in un anno) o ananas (77 mila tonnellate) che qui da noi non crescono pur essendo divenute una componente importante e stabile dei nostri consumi. Se si tolgono questi prodotti esotici di obbligata provenienza straniera, la quota di produzioni italiane nei negozi Coop arriva al 95%. Spesso le produzioni straniere sono le primizie, cioè quelle che aprono la stagione in attesa della maturazione dei prodotti italiani. Un esempio che riguarda i primi meloni che compaiono sui banchi proprio in queste settimane, come poi le angurie. Altri prodotti come i kiwi, sono ora coltivati anche in Italia. Ma la produzione nostrana non è in grado di coprire il fabbisogno sui 12 mesi, per cui per le altre fasi dell’anno ci si rivolge all’estero.

di Dario Guidi