LO MANGERESTI IL RAGÙ DI GRILLI?

25/01/2023

Disgusto? Eppure sarà necessario trovare un’altra fonte di proteine, perché l’allevamento intensivo di animali alla lunga non sarà più sostenibile

Provereste appetito a vedere in un menù pane di farina di grilli o hamburger di “carne coltivata”? Se il disgusto è la vostra prima impressione, non sentitevi soli: come voi la pensa la maggioranza degli italiani. Lo racconta anche il Rapporto Coop, segnalando che solo un italiano su 5 sostituirebbe la carne con quella in vitro o con gli insetti.

Eppure bisognerà trovare un’altra fonte dove procacciarsi proteine perché l’attuale modo di produzione – l’allevamento intensivo di animali – alla lunga non sarà più sostenibile. A questo tema il Crea (Centro di ricerca alimenti e nutrizione) ha dedicato una tavola rotonda, proprio per capire quali potrebbero essere le fonti di proteine del futuro. Perché è necessaria una “transizione proteica”, così viene definita. Una transizione, per dirla con Elisabetta Bernardi, divulgatrice scientifica e specialista in scienze dell’alimentazione, che «dovrà salvaguardare l’ambiente, la nostra salute e non contribuire al riscaldamento globale».

C’è da ricordare che in questi ultimi anni, fortunatamente, è aumentata l’offerta sul mercato di prodotti trasformati analoghi o alternativi alla carne che ormai vengono consumati non solo da vegetariani o vegani, ma anche da persone che per vari motivi vogliono diminuire il consumo di carne o pesce. A questi prodotti, prevalentemente basati su legumi, si è aggiunta la possibilità di impiegare alghe, funghi e insetti per produrre nuovi alimenti con un buon contenuto proteico. Infine è molto avanzata la ricerca sulla cosiddetta “carne coltivata”, o sintetica, ottenuta in vitro partendo da cellule staminali di animali da allevamento.

Secondo Edoardo Capuano, dell’Università di Wageningen, la selezione delle varie alternative alla carne va fatta a partire dalla valutazione dell’impronta ecologica, che deve essere più favorevole rispetto a quella degli allevamenti (che producono più di un quarto del totale di gas serra rilasciati in atmosfera); della quantità e qualità delle proteine alternative e soprattutto della loro biodisponibilità; e infine della loro tecnofunzionalità, ovvero della possibilità di utilizzarle anche come ingredienti di altre preparazioni.

 

LEGUMI

Come sono posizionati i legumi rispetto a questa griglia? «Sono vantaggiosi perché sono già apprezzati in tutto il mondo – spiega Capuano – e in più hanno un’alta sostenibilità. Sono ricchi di proteine tra il 21 e il 25% e col procedimento dell’estrusione si riesce a strutturarli come la carne, di cui riproducono le proprietà sensoriali. Rispetto all’impatto ecologico, i legumi sono di gran lunga migliori della carne proveniente da allevamenti. Tuttavia gli hamburger vegetali, ad esempio, hanno spesso una lista di più di 35 ingredienti, e quindi ci dobbiamo porre il problema dell’impatto ambientale di questi preparati nel loro complesso».

 

INSETTI

Passiamo adesso agli insetti, professor Capuano. Qual è il loro piazzamento nella corsa a diventare la nostra proteina del futuro? «Va detto anzitutto che non è il caso di rabbrividire. Oggi più di due miliardi di sapiens praticano l’entomofagia, ovvero mangiano insetti, e sono più di 2.000 le pratiche culinarie che li contemplano come ingredienti. Ed è certamente una scelta ecologica e sostenibile. Hanno un contenuto di proteine molto alto, anche maggiore del 50%, nonché di acidi grassi essenziali, ferro e zinco altamente biodisponibili. Quando parliamo di insetti commestibili parliamo per lo più di locuste, grilli e larve della farina. Tuttavia qualche svantaggio c’è: intanto ci vorrebbe un grande cambiamento culturale, prima di poter fare uso di questa fonte proteica». 

 

CARNE DA MICRORGANISMI

Del tutto simile alla carne “vera”, ma con l’immenso vantaggio di non passare attraverso l’uccisione di animali, è infine la carne derivante da microrganismi. «La ricerca – continua Capuano – ne indica sostanzialmente tre: i funghi filamentosi; le alghe, fonte molto ricca di proteine ma di dubbio impatto ecologico, e infine proteine ottenute da fermentazione microbica in “fattorie” cellulari, alimentate da un brodo di coltura dove i microrganismi si moltiplicano e riproducono. Anche in quest’ultimo caso la sostenibilità è dubbia, anche se la resa proteica è molto elevata». Quale strada prenderà, dunque, la nostra transizione proteica? «Difficile dirlo: probabilmente – conclude Capuano salomonicamente – un mix di queste tre insieme, magari con l’aggiunta, saltuaria, di carne». 

Anche perché entrano in gioco molti altri fattori, nella ricerca di alternative concrete alla carne. Ad esempio le abitudini e gli stili di vita dei consumatori. «In questa partita – spiega infatti Anna Saba del Crea – anche il cittadino deve fare la sua parte effettuando scelte consapevoli e sostenibili. Al di là di ciò, tuttavia insistono le barriere culturali e forse per questo la letteratura scientifica attesta che le fonti proteiche vegetali sono le preferite». Prevedibile… Ma chi è disponibile a mangiare insetti? «Posti di fronte a varie alternative, i consumatori prediligono l’insetto nascosto, ovvero lavorato e non visibile rispetto all’insetto tal quale. Ma se il campione riceve informazioni sui benefici che possono derivare dai consumi di insetti – principalmente il consentire a una maggior numero di persone l’accesso alle proteine e ridurre l’impatto sull’ambiente – aumenta la disponibilità all’alimento». 

 

CARNE “COLTIVATA”

Poi c’è la carne “coltivata” proveniente da cellule di bovino, fatte riprodurre in vitro. “Oltre il 65% – continua Anna Saba – ne ha sentito parlare, ma in pochi sono disponibili a prenderla in considerazione come fonte proteica alternativa. Questa scarsa predisposizione, tuttavia, aumenta quando il consumatore viene informato. La conclusione è dunque che, in vista di così epocali cambiamenti, sia necessario lavorare per una vera educazione e informazione alimentare».

 

SICUREZZA ALIMENTARE

Ultimo elemento di cui tenere conto è la normativa in tema di sicurezza alimentare riferita ai novel food, secondo la quale l’uso di qualsiasi ingrediente “nuovo” è vietato finché questo non riceve una specifica autorizzazione. Sono sottoposti quindi a regolamento gli insetti e gli alimenti prodotti con nuove tecnologie. Per esempio, le sostanze prodotte tramite colture cellulari ottenute da organismi, o la carne coltivata in laboratorio a partire da cellule di bovino.

Per la farina di grilli, in particolare, è arrivato il via libera al commercio dall’Unione europea, che ne ha autorizzato l’immissione sul mercato proprio come novel food, sotto forma di polvere parzialmente sgrassata. Era già accaduto in precedenza per le larve della farina essiccate e per la locusta migratoria. 

«Ma i tempi saranno comunque lunghissimi – spiega Ferdinando Albisinni dell’Universitas Mercatorum – e tra l’altro la questione è anche di definizione: la parola “carne” non si può usare per prodotti che non sono derivati da animali, così come non possiamo chiamare latte una bevanda derivata da vegetali».

Intanto, però, Coldiretti, in difesa della filiera alimentare nostrana, pronuncia un secco no contro i cosiddetti “cibi Frankenstein”, incassando anche l’appoggio del governo che annuncia approfondimenti relativi agli effetti sulla salute di questi alimenti. La strada, dunque, è ancora lunga. Anche se il tempo (del pianeta) stringe. (consumatori.e-coop.it)